9 Giu 2022

L’ARTISTA RINGRAZIA – Genealogie: le fonti artistiche e letterarie di Giulio Paolini

Giornata di studio dedicata a Giulio Paolini

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Quando e dove

Da

9Giugno

A

10Giugno

Orario

10:00

Prenotazione obbligatoria

Chi

Sergio Risaliti

Bettina Della Casa

Direttrice Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Flavio Fergonzi

Giuliano Sergio

Denis Viva

Roberta Minnucci

Lucia Corrain

Saretto Cincinelli

Andrea Cortellessa

Fabio Belloni

Elio Grazioli

Ingresso libero con prenotazione obbligatoria. Prenota il tuo posto qui

In occasione della mostra Quando è il presente?, la personale di Giulio Paolini in corso al Museo Novecento e al Museo di San Marco fino al 7 settembre 2022, il Museo Novecento e la Fondazione Giulio e Anna Paolini sono lieti di presentare L’ARTISTA RINGRAZIA – Genealogie: le fonti artistiche e letterarie di Giulio Paolini. La Giornata di studio, che si terrà giovedì 9 e venerdì 10 giugno al Teatro Niccolini di Firenze, sarà dedicata all’approfondimento della ricerca artistica di uno dei maggiori esponenti dell’arte italiana del Novecento, con il contributo di eminenti studiosi e critici.

Fin dall’inizio della sua carriera, nei primi anni Sessanta, Giulio Paolini ha nutrito la propria ricerca del confronto con le fonti artistiche e letterarie. Un metodo operativo che l’artista ha seguito fino a oggi per rivendicare l’appartenenza a una tradizione culturale e storico-artistica, oltre che a una dinastia di autori prediletti. Per l’artista, infatti, autori di epoche diverse fanno parte di una temporalità circolare, propria della natura e del destino dell’opera d’arte.

Quali dispositivi concettuali vengono messi in atto? Come vengono acquisite e trasfigurate le fonti visivo-artistiche e letterarie? Quali sono i membri di questa genealogia ideale? Come si configura l’opera sul piano iconico e concettuale? Come si manifestano affinità e differenze con le esperienze artistiche del passato e coeve? Questi gli interrogativi che la Giornata di studio intende affrontare.

Le due giornate del convegno sono articolate in quattro sessioni:

Le fonti: modelli e trasfigurazioni: il concetto di fonte e di genealogia artistica tra antico e contemporaneo, nell’opera di Paolini come nell’ambito culturale in cui si trova ad operare.

Compagni di viaggio: vicende parallele: il contesto artistico in cui attitudini affini vengono messe in atto.

Parenti lontani e vicini: il tempo dell’arte: alcune personalità della storia dell’arte antica e moderna ricorrenti nella poetica paoliniana.

Echi letterari: la persistente influenza di scrittori e letterati nel pensiero e negli esiti formali dell’opera di Paolini.

GIOVEDÌ 9 GIUGNO

H10

Saluti

Sergio Risaliti
Direttore Museo Novecento, Firenze

Introduzione
Bettina Della Casa
Direttrice Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Moderatore
Bettina Della Casa
Direttrice Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Sessione I: Le fonti: modelli e trasfigurazioni

Flavio Fergonzi
Gli strumenti della tradizione storico-artistica. Analisi visiva e filologia testuale per comprendere l’opera di Paolini
L’intervento introduce, con la presentazione di qualche caso mirato, il tema delle opportunità e dei limiti di un tradizionale approccio storico-artistico per la comprensione dell’opera di Giulio Paolini. L’artista, che ha sempre fatto lucidamente i conti con i precedenti della storia dell’arte, sollecita piuttosto interpretazioni estranee all’ambito della disciplina: con sconfinamenti nell’estetologia, nella filosofia, nella semiotica, nella linguistica. Quanto avvicina ai processi dell’invenzione di Paolini una marcatura stretta delle sue opere, storicamente fondata su basi visive? E quanto aiuta una lettura tradizionalmente esegetica dei testi scritti dall’artista? E, soprattutto, quanto sfugge, del cuore della poetica di Paolini, con l’applicazione di queste metodologie?

Claudio Zambianchi
Con lo sguardo al passato
Nell’arco della sua lunga carriera Giulio Paolini ha giocato con la storia dell’arte, consapevole dell’irrecuperabilità della grande arte del passato e anche però della sua forza evocativa. L’intervento si concentrerà sull’impiego fatto da Paolini di frammenti della pittura e della scultura dall’antichità al Settecento, e si porrà domande circa il significato da esso assunto nell’opera dell’artista. Si tratta di citazione, di oggetto di meditazione, o di un guizzo di vitalità emerso dalla storia della cultura che l’artista cerca di rivivificare e risignificare ogniqualvolta trova in esso un’occasione di rispecchiamento?

Giuliano Sergio
Fotografato e dipinto. L’immagine dell’autore in alcune opere di Giulio Paolini degli anni Sessanta
«La fotografia è intesa come l’avvento (e l’illusione conseguente) che decreta la (o il) fine della fotografia e l’origine dell’immagine. Più che una tecnica, è dunque una vera e propria rivelazione linguistica». Così Giulio Paolini descrive la funzione della fotografia nella sua opera. A partire dal celebre 1421965 (1965) l’intervento rileggerà alcuni lavori dell’artista della seconda metà degli anni Sessanta che ricorrono alla fotografia, «imprese memorabili nello spazio e nel tempo» che hanno consentito a Paolini di scandagliare la figura dell’autore utilizzando tutte le potenzialità linguistiche del medium e di favorire, tra i primi, l’ingresso della fotografia nell’arte contemporanea.

H14:30

Sessione II: Compagni di viaggio: vicende parallele

Denis Viva
Il soggetto riconvocato. Giulio Paolini e alcuni ritratti del passato
Genealogia e ritratto sono intimamente connessi. Non soltanto quest’ultimo genere, tra quelli fondativi dell’arte, si è configurato nei secoli come un’attestazione di potere e un’implicita richiesta di riconoscimento sociale, ma esso è divenuto anche una forma di legittimazione fondata sull’individuazione di lignaggi e parentele. Concepito in funzione di una memoria postuma, il ritratto è stato la testimonianza, ad un tempo, di un’appartenenza (culturale, familiare, professionale) e di un’esemplarità (civile, etica, deontologica) da tramandare ai posteri come modello memorabile. Sulla scorta di questa stessa esemplarità, alla fine degli anni Sessanta, il ritratto – e specialmente l’autoritratto – divenne in Italia un tema iconografico di esplorazione metalinguistica, nel quale gli artisti iniziarono a sondare il peso della loro tradizione e i topoi del mestiere. A partire da alcune dirompenti opere paoliniane del 1967, il recupero degli autoritratti e dei ritratti della storia dell’arte si tramutò così in una pratica espansa e intermediale (Salvo, Luigi Ontani, ecc.) sino a giungere, in forma convertita, alla pittura postmoderna. Con quali differenze e peculiarità, tuttavia, Giulio Paolini ricorse ai ritratti del passato? Due prime considerazioni sembrano possibili: in primo luogo, anziché fissare stabili genealogie diacroniche, il ritratto in Paolini evidenzia la reciprocità dell’atto di visione, della paradossale comunicazione sincronica fra sguardi di epoche diverse; in secondo luogo, proprio in virtù di tale reciprocità, esso sembra suggerire piuttosto un’instabilità, temporale ed extradiegetica, che riconvoca con nuovi mezzi il soggetto del passato dinanzi allo spettatore del presente.

Roberta Minnucci
Conversazioni in gipsoteca: l’opera d’arte tra copia e frammento

La lettura e la reinterpretazione della tradizione scultorea occidentale tramite il calco in gesso sono state al centro della ricerca artistica di Giulio Paolini ed altri artisti coevi, come Jannis Kounellis e Michelangelo Pistoletto, per diversi decenni. Attraverso l’analisi di alcune opere particolarmente significative per il tema indagato, il contributo intende analizzare il frammento come metafora di un passato inaccessibile e immagine di una contemporaneità irrisolta all’interno dello specifico contesto storico e artistico italiano degli anni successivi al secondo dopoguerra.
I frammenti scultorei vengono impiegati dagli artisti presi in considerazione per rimandare ad un’identità culturale divisa e lacerata, ad una condizione nel presente che può attingere al passato soltanto attraverso i suoi resti sparsi, rivendicando una continuità con la tradizione artistica che li ha preceduti e che sopravvive attraverso frammenti sospesi nel tempo. Se l’antichità classica è una dimensione definitivamente perduta, essa può essere riproposta nel presente soltanto come imitazione. La natura illusoria di tale tentativo viene, tuttavia, rivelata dalla forma frammentaria in cui tale passato si presenta. Mentre le categorie di originalità e autenticità vengono messe in discussione, dispositivi di rispecchiamento e riproduzione diventano nuove chiavi di lettura per questa stessa tradizione. Nel repertorio infinito di sculture di una gipsoteca ideale, queste diventano fonti da duplicare e reinterpretare, sezionare e distruggere in una riproposizione dell’antichità classica che indaga la natura stessa dell’arte.

VENERDÌ 10 GIUGNO

H10:30

Sessione III: Parenti lontani e vicini: il tempo dell’arte

Lucia Corrain
Giulio Paolini e Noli me tangere di Beato Angelico

Nel museo di San Marco a Firenze, nella prima cella del dormitorio dei monaci, dove il Beato Angelico ha affrescato l’episodio evangelico del Noli me tangere, Giulio Paolini ha esposto nel 2022 un lavoro che si “ispira”, con lo stesso titolo, proprio a quest’opera del frate domenicano.
Paolini, fin dagli esordi, ha sempre dialogato con l’arte del passato, costruendo con essa inedite e originali risonanze attraverso il linguaggio della contemporaneità. Il rapporto che egli ingaggia con l’Angelico – pittore da sempre al centro di una sua particolare attenzione, così come il museo di San Marco – sembra focalizzarsi quasi esclusivamente sulle mani. Le fotografie delle mani di Paolini – a suo stesso dire – esprimono la meraviglia provata contemplando l’affresco del grande maestro. Come appare chiaro, le mani dell’artista contemporaneo rappresentano un’eco evidente con quelle che non si toccano di Cristo e della Maddalena. Ma questo delicato atto di creazione di Giulio Paolini si limita soltanto a riecheggiare le mani oppure c’è altro ancora? Certamente sì! L’analisi dettagliata dell’opera propone una serie di riflessioni tese a rendere più espliciti alcuni significati nascosti che vengono a incontrarsi in una raffinatissima sfida fra passato e presente.

Francesco Guzzetti
Eco e Narciso: Paolini e Poussin

Nel 1968, tre lavori annunciano l’ingresso di un nuovo “compagno di viaggio” di Giulio Paolini: Nicolas Poussin. In ciascuna delle opere, l’artista indaga temi centrali nel suo lavoro: l’identità dell’artista (Autoritratto); il doppio e la mise en abyme (Nel mezzo del dipinto Flora sparge i fiori, mentre Narciso si specchia in un’anfora d’acqua tenuta dalla ninfa Eco); lo statuto tautologico dell’immagine e l’identità tra la sua essenza e la sua storia (Poussin, che indica gli antichi come esempio fondamentale). In quest’ultimo lavoro, la citazione è duplice: Paolini preleva e ingrandisce un particolare della mano di Poussin, effigiato da Jean-Auguste Dominique Ingres nel dipinto Apothéose d’Homère. Entro questa genealogia di riferimenti, il contributo si concentra sull’importanza della linea classicista della pittura francese nell’immaginario visivo di Giulio Paolini, con particolare attenzione alle possibili risonanze con Poussin, “peintre philosophe”.

Sessione IV: Echi letterari

Saretto Cincinelli
Giulio Paolini / Paul Valéry: l’opera come soglia del possibile

Se affermiamo che in alcune opere di un artista sono presenti temi o atmosfere provenienti da altri autori, sembra si sostenga che questi ultimi abbiano costituito dei modelli. Ma quando – come nel nostro caso – è un maestro come Giulio Paolini ad appropriarsi attivamente di certe atmosfere bisognerebbe rovesciare il punto di vista e interrogarsi piuttosto su Paolini agente di intelligenza critica retroattiva verso la ‘fonte’ prescelta… Dopo una serie di divagazioni sulle idee di influenza, parentela, eredità l’intervento si sofferma su Paul Valéry, figura individuata come un’ulteriore possibile ‘fonte’ per la ricerca dell’artista. I rimandi non vanno tanto al poeta stricto sensu quanto all’autore dei Cahiers, sterminata messe di riflessioni su soggettività e impersonalità, sguardo e visione e, soprattutto, su genesi e ricezione dell’opera d’arte. L’attitudine concettuale del poeta francese mostra sottotraccia alcuni tratti imparentabili con quella di Paolini e la stessa esemplarità interpretativa che entrambi rivolgono alla struttura autoriflessiva che sostiene le rispettive opere costituisce un ulteriore elemento di contatto. Sia in Paolini che in Valéry la riflessione teorica non rappresenta un semplice corollario dell’opera, ma una parte integrante e una straordinaria declinazione.

H14:30

Sessione IV: Echi letterari

Andrea Cortellessa:
I rivali invisibili. Paolini e Calvino, evoluzioni tra le cornici

Come esplicitato dall’autore sin dall’uscita del libro, la figura di Giulio Paolini è adombrata nel personaggio dello “scultore Irnerio”, che appare nel terzo e svolge poi un ruolo sostanziale nel settimo capitolo di Se una notte d’inverno un viaggiatore, l’“iper-romanzo” che Italo Calvino pubblica nel giugno del 1979. Sinora gli studi si sono concentrati sulla funzione preparatoria – da vero e proprio “cartone”, o meglio “disegno” concettuale dell’opera – che svolge il testo critico La squadratura, premesso da Calvino al libro di Paolini Idem, uscito nel 1975 nella collana “Letteratura” diretta per Einaudi da Paolo Fossati. Ma l’intervento s’interrogherà piuttosto sulla funzione del personaggio di Irnerio nel plot – o meta-plot – del romanzo di Calvino; nonché sull’esemplarità che le domande poste dallo scrittore ne La squadratura possano aver rivestito nel percorso a seguire dello stesso Paolini.

Fabio Belloni
Giulio Paolini e Jorge Luis Borges

Tra i tanti nomi di pittori e scrittori continuamente invocati da Giulio Paolini, quello di Jorge Luis Borges occupa un ruolo centrale. L’artista ne è stato un lettore precoce, e già dagli esordi ha offerto più prove della sua ammirazione. A J. L. B. (1965), Storia dell’eternità (1969), la doppia pagina per il catalogo della mostra Gennaio 70 (1970), per esempio: per scelta tecnica ed espressiva sono opere molto diverse tra loro, che comunque trovano unità nel comune appello al grande argentino. Vero che, specie in Italia, Borges stava vivendo una formidabile fortuna: tuttavia Paolini ha mostrato un interesse troppo profondo e duraturo per far pensare a un semplice riflesso di quel clima. In lui si è subito riconosciuto, trovando nei suoi libri continue risorse. L’assenza di tempo e il valore dell’immaginazione, la vertigine dell’infinito e la sospensione dell’attesa: ecco i temi che lo hanno affascinato concorrendo alla definizione della sua stessa poetica. Quali allora le effettive letture di Paolini? E in che termini ha tradotto visivamente Borges? Come si colloca la sua passione nell’Italia artistica del tempo? La relazione proverà a confrontarsi con queste domande, allargando lo sguardo a quanti – proprio grazie all’esempio di Paolini – tra anni Sessanta e Settanta hanno fatto di Borges un riferimento delle loro ricerche.

Elio Grazioli
Il raddoppio: Giulio Paolini e Raymond Roussel

Paolini ha dedicato ben tre opere a testi dello scrittore Raymond Roussel, fin da molto presto, a metà degli anni Sessanta, per poi mantenere costante il riferimento alla sua figura lungo tutti i decenni del suo percorso artistico, fino a un recentissimo 2017. Autore non notissimo, soprattutto in Italia, Roussel è figura singolare sotto molti aspetti, precursore incompreso al momento delle sue pubblicazioni, scoperto solo dalle avanguardie del primo dopoguerra e mai divenuto popolare per la difficile lettura, ma singolare anche come figura, nevrotica e dandy al tempo stesso. Quel che Paolini vi ha trovato si intreccia perfettamente con la propria opera e un lato del proprio atteggiamento, quello del modo di intendere il ruolo dell’artista e dell’arte, dal singolare modo di intendere l’autoreferenzialità e la tautologia al “locus solus”, come titola il “romanzo” probabilmente più famoso di Roussel, che è quello dell’arte e dell’artista.

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